Si tornerà in aula il 25 novembre per il procedimento penale a carico di Marcus Pota per stalking ai danni di Mirella Abela, madre di Valeria Pandolfo, ex compagna dell’uomo, rinvenuta cadavere nell’abitazione di quest’ultimo in quel di Prata Sannita.
Il giudice ha dato altri sessanta giorni di tempo per depositare la relazione dalla quale dovrà emergere se l’imputato sia in grado di intendere e di volere, sulla sua capacità di stare in giudizio e sulla sua pericolosità sociale qualora dovesse emergere la sua idoneità psichica. Perizia che sarà redatta dal neurologo, nominato dal giudice monocratico Giulia D’Antoni, insieme alla criminologa Roberta Bruzzone, incaricata come consulente di parte da Mirella Abela.
Arriva, intanto, la seconda opposizione, con nuovi documenti prodotti, per la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere per dimostrare che quella di Valeria Pandolfo non fu morte naturale. Sono ancora molti i punti da chiarire sul decesso della Pandolfo che venne ripresa cadavere in videochiamata dal Pota che si è giustificato, tramite le telecamere di “Chi l’ha visto?”, come se fosse stato un desiderio di Valeria. E perché mai la Pandolfo avrebbe dovuto parlare della propria morte? Cosa avrebbe spinto la 40enne di Siracusa ad affidare al Pota la volontà di essere mostrata cadavere, nell’ipotesi di decesso, ad amici e non se non aveva nessun problema che potesse ipotizzare la propria morte?
Intanto mamma Mirella, che tutt’oggi, insieme alla sua famiglia vive ancora di atti persecutori che denuncia con costanza e senza alcun timore chiede solo la verità sulla morte di una figlia fragile, disabile, che cercava solo amici e amore tramite il web. Quello stesso web che sembrerebbe averla inghiottita in una danza folle fatta di illusioni, nickname ed una danza folle che non le apparteneva.