Video Paolo Interlando
Quando nel 2012 ho conosciuto Peppe Rizza ammetto che non è stata simpatia a prima vista, almeno per me. Era la fine del primo tempo di Siracusa vs Pergocrema quando una mano mi tirò i capelli, legati a coda di cavallo, mentre tentavo di poggiare la macchina fotografica in panchina per fumare una sigaretta.
<Scusa mi puoi fare delle foto se entro in partita?> – al momento giuro che gli avrei piazzato uno schiaffo ma il suo entusiasmo e il modo ironico nel dirmelo mi hanno fatto accettare il momento. Giuseppe Rizza entrò in campo nel secondo tempo ed ebbe le sue foto, come promesso.
Poi una parola tira l’altra e la sua inconfondibile risata ci hanno fatto diventare amici. Ricordo ancora un’infiorata vista insieme ed i messaggi dove cantava a squarcia gola, o quando mi prendeva per cafona o meglio per “torpa” vedendo sui social, nel periodo del lockdown, le mie ciabatte con il pelo.
<Ma non vieni quest’anno a vedere l’infiorata?> questo uno degli ultimi messaggi. Chiaro che non sono andata a causa dell’emergenza sanitaria del Covid-19.
Peppino Rizza per me è stato sempre un ragazzo semplice e sorridente. Uno senza peli sulla lingua. Uno che amava il suo lavoro. Uno che amava la Roma. I bambini. Il mare. La sua adorata famiglia.
La notizia del suo aneurisma mi ha scossa ma sapevo che avrebbe reagito. Ero certa che, anche se nel recupero, avrebbe battuto e messo in rete il rigore portando a casa il risultato. Ed ho pregato tanto per lui. Ho pregato come hanno pregato mille persone da tutta l’Italia. Mille big del calcio e altrettante persone comuni. Come hanno fatto anche tutti i giornalisti sportivi che lo conoscevano.
Ho sorriso quando Veronica, la sua gemella, mi ha scritto <si è svegliato>. Lo sapevo che Peppe lo avrebbe fatto. Eppure qualcosa è andato storto. Perché Peppe oggi non è più con noi. E pensarlo e scriverlo è dura. Dura come un pugno al centro dello stomaco.
Come quel pugno che ho ricevuto quando Veronica mi ha scritto <Giuseppe non c’è più>.
Eppure io, il sorriso di Peppe Rizza non lo dimenticherò mai. Non dimenticherò mai quella risata ed il suo approcciarsi alla vita. Oggi mi sono messa in macchina per dargli l’ultimo saluto ma non ci sono riuscita e sono tornata indietro verso casa.
Perché è feroce. Perché fa male. Perché il mondo del calcio ti dona e ti leva. Perché per chi ha consapevolezza di cos’è uno stadio a 360° sa benissimo che i nostri addii non sono “normali“.
Io non c’ero e forse non me lo perdonerò mai. Sono entrata al “De Simone” però, proprio in quello stadio dove l’ho conosciuto e l’ho salutato proprio a bordo campo accendendo una sigaretta.
Qualcuno magari penserà ancora che noi giornalisti siamo immuni a tutto e tutti. Eppure non è così. Perché anche dentro “casa nostra” arriva il dolore e spacca tutto. Tutto. E quando il mio amico Paolo mi ha mandato il video dell’uscita del feretro dalla chiesa il mio cuore si è spaccato in mille piccoli pezzi ancora di più.
E mentre la sigaretta brillava e le lacrime scendevano il mio saluto in realtà non era un addio. Perché io non riesco ancora a crederci e forse non ci crederò mai di non rivedere più Peppe.
Ciao “freccia“. Anzi, ciao Pé, ti voglio bene.