Il fotografare è un’arte, no. Il fotografo è un artista, nemmeno. Oggi la riproducibilità e la volgarità dell’immagine spinge a considerare la fotografia solo una moda, un elemento social della vita di noi tutti, consumatori, divoratori di immagini, ingoiatori di click e flash.
C’era un tempo in cui si fotografava per passione e per ossessione, diventava anche un lavoro in cui più si scattava e più si entrava dentro il senso stesso della fotografia, catturare un istante, un momento e renderlo immortale. Di potente e immortale c’è tanto nei lavori di Sebastião Salgado, un brasiliano diventato per caso un fotografo, quasi il destino volesse farlo incontrare con la fotografia e fargli comprendere quale fosse il suo ruolo, la sua missione: un esploratore della condizione umana.
Tutto questo e molto altro dentro il nuovo lavoro del regista Wim Wenders, che ci racconta di Salgado e dell’amore smisurato per le sue foto, dal tipico bianco e nero.
Il regista sembra scoprire insieme allo spettatore la vita, il genio, i drammi e le gioie di Sebastião Salgado. Wenders lo intervista, lo accompagna anche in angoli remoti a catturare con la camera sempre nuovi mondi, riattraversa con lui il lavoro di una vita, mostrando con attenzione, con tutto il tempo che occorre a lui stesso, a Salgado, ma soprattutto allo spettatore di guardare davvero e capire, emozionarsi.
Salgado ha visto il mondo, ma in primis ha conosciuto l’uomo. Creatura affascinante, fragile e immutata nella storia, quasi una razza in via d’estinzione in America latina; per poi scoprire essere l’incarnazione della malvagità in Africa, in Asia, con le guerre e i genocidi. Ma la notte è più buia subito prima di un’alba e così Salgado ritrova una ragione per continuare a vivere, insieme alla sua inseparabile macchina fotografica, e si rivolge alla natura. E negli sconfinati paradisi di flora e fauna che la Terra può offrire Salgado rinasce, quasi come un risarcimento che la vita vuole offrirgli per il lavoro svolto, a cui noi tutti siamo debitori.
Seppur premiato, elogiato e conclamato “capolavoro”, questo ultimo lavoro di Wim Wenders non ricerca fama, non vuole gloria, vuole semplicemente essere visto. È una storia raccontata attraverso le immagini, che pare essere e non essere cinema. Un dubbio amletico che nella visione di immagini potenti, che entrano nel profondo e che da sole rendono emozionante tutta la fruizione, vogliono far conoscere quel contorto connubio che esiste tra immagine cinematografica e quella reale.
Il regista filma il fotografo e il fotografo scatta la troupe. È un incontro dagli esiti incerti, perché non si conosce il risultato tra un’istantanea, elegante ritratto della realtà e l’immagine riprodotto in un film/documentario, una ricostruzione del reale. Un vero e proprio momento di riflessione sul rapporto tra arte e realtà, tra la riproduzione della realtà e un film che la racconta.
Il film “IL SALE DELLA TERRA” sarà proiettato al Cinema “AURORA“.